Dopo Avatar, anche lo sbarco dell'uomo su Marte diventa possibile. «Realizzato in 3D e trasmesso a reti unificate, non si accorgerebbe nessuno che è virtuale». Joe Letteri, supervisor degli effetti speciali del film questa volta è convinto di aver tra le mani una tecnologia che non pone limiti all'immaginazione.
Non poteva esserci giorno migliore per incontrarlo, ieri a Bologna nell'ambito del Future Film Festival, proprio mentre il kolossal di James Cameron registrava il record di incassi, superando Titanic in soli 41 giorni. «Ho sentito la produzione e siamo molto soddisfatti», ha commentato brevemente. A Letteri, però, non interessa molto parlare dei risultati al botteghino: in nomination per il quarto premio Oscar - dopo i tre ottenuti con i dinosauri di Jurassic Park, Gollum del Signore degli Anelli e il King Kong di sette metri e mezzo - preferisce parlare di computer grafica e motion capture, le vere ragioni del successo di Avatar. Il visual effects supervisor della Weta digital, l'impero neozelandese di Peter Jackson che ha firmato i più noti film fantasy degli ultimi anni, non ha dubbi che il progresso tecnologico messo a punto con Avatar abbia abbattutto tutti i muri: «Abbiamo inventato una nuova grammatica - sintetizza - e la grossa differenza, rispetto ai primi film realizzati con queste tecniche, sta nell'aver realizzato un set virtuale che consente al regista di avere il controllo dell'intera scena. Il campo ora è aperto a varie applicazioni, ma non si può dire quali siano le prospettive perché dipende tutto dalle richieste che ci faranno i registi nei prossimi anni». Proprio come un operaio del cinema, Letteri è abituato a ragionare su commissione e il suo è l'atteggiamento di un ingegnere a cui viene chiesto di realizzare un impianto: davanti a un problema, bisogna trovare una soluzione. Ed è questo che ha fatto, grazie ai potenti mezzi della Weta digital, anche quando James Cameron gli ha chiesto di realizzare il suo film in 3D. «La vera innovazione è stata la telecamera che lui stesso ha contribuito a realizzare - racconta - e per la quale ci sono voluti sei anni di sviluppo». Un dispositivo con due obiettivi capaci di simulare lo sguardo e quindi di catturare la scena come farebbe la nostra vista. Collegandola a un pc è possibile ricostruire sullo schermo del computer il set del film. «Le difficoltà maggiori si hanno con le scene di movimento, come le battaglie - continua Letteri -, per la difficoltà dell'occhio umano di adattarsi ai cambiamenti repentini».
Alla realizzazione di Avatar hanno lavorato più di mille persone, di cui circa 25 italiani: «Non conosco il numero preciso, perché siamo in tanti. La Weta è davvero internazionale e la gente arriva grazie a conoscenze. Ci segnalano qualcuno bravo, in Italia non ci sono grandi aziende di effetti speciali, e così vengono a fare un'esperienza. Abbiamo bisogno di tante competenze: scienziati, ingegneri, informatici, esperti di animazione, modellistica o di grafica computerizzata». Un tecnico del cinema come Letteri, il cui film preferito è lo storico kolossal Lawrence d'Arabia (realizzato nel 1962 e detentore di ben sette premi oscar), è consapevole però che il futuro del cinema non è solo effetti speciali: «Continueremo a guardare film tradizionali ancora per molto tempo».
